©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano
Una forma di misurazione dell’immagine, derivante dalla psicologia sociale e dagli studi di psicolinguistica, si attua tramite il “differenziale semantico”[1]. Questo strumento permette di costruire un profilo di immagine del prodotto, del marchio, o persino di una persona. Esso restituisce al ricercatore il profilo percettivo che un qualsiasi oggetto o entità genera in un valutatore.
Il modello si presta ottimamente ad essere utilizzato per valutare la performance comunicativa di un venditore, di un politico, di uno speaker, o di un docente, o per capire come gli amici colleghi ci vedono.
Le applicazioni del differenziale semantico sono state utilizzate per diversi scopi, tra cui la misurazione delle reazioni emozionali prodotte da uno stimolo di marketing, l’analisi dell’impatto di un nome di prodotto, di un logo o marchio. Un uso estensivo ne viene fatto anche nella ricerca sociale.
Il differenziale semantico è uno strumento prevalentemente quantitativo, nel senso che richiede elaborazione statistica.
Alla base della tecnica, come per ogni forma di misurazione psicosociale, vi è la constatazione che gli atteggiamenti non possono essere osservati direttamente, ma devono essere inferiti in base ad espressioni e comportamenti, utilizzando “indicatori”.
Per quanto riguarda la scelta degli indicatori, il differenziale semantico utilizza aggettivi bipolari, che esprimono opposti gradi di giudizio (es: positivo–negativo, profondo–superficiale, tollerante–intollerante, coraggioso–vile, aggressivo–remissivo).
Gli aggettivi sono disposti lungo una scala di risposta (in genere a 7 punti, ma possono essere utilizzate anche formulazioni diverse) dove ciascun punto esprime un diverso grado di giudizio. Nelle istruzioni di compilazione è possibile fornire “ancoraggi semantici” delle caselle di risposta, es: “moltissimo” o “estremamente” per i poli estremi della scala, “molto” per il secondo grado, “abbastanza” o “leggermente” per il terzo grado, come evidenziato di seguito.
[1] La tecnica del differenziale semantico è stata sviluppata partendo dagli studi di Osgood (1952) e quindi perfezionata da Osgood, Suci e Tannenbaum e pubblicata (1957) in The Measurement of Meaning, con lo scopo, come evidenzia il titolo, di misurare i significati linguistici. Vedi bibliografia per indicazioni sulla pubblicazione originale.
Al grado intermedio sono associate espressioni tipo “né…/né…”, che indicano un punto centrale, sostanzialmente una valutazione neutra. Altri modelli richiedono invece al compilatore di circolare un numero sulla scala.
Utilizzando le scale del modello originale (Osgood, Suci, Tannenbaum, 1957), la ricerca ha evidenziato che queste coppie di aggettivi si aggregano mentalmente nelle seguenti categorie: Valutazione (good/bad, beautiful/ugly, interesting/boring, e effective/ineffective), Potenza (strong/weak, heavy/light, e tense/relaxed), e Attività (active/passive, fast/slow, e agitated/calm).
Queste dimensioni possono essere applicate per valutare marchi, persone o prodotti, e persino concetti o idee politiche.
Il differenziale semantico originario aveva tra i suoi scopi primari l’obiettivo di misurare il significato delle parole, e compararlo tra diverse culture o sottoculture. Il differenziale semantico originario permette di misurare fattori primari della reazione emotiva del consumatore rispetto ad un oggetto d’acquisto, e quindi determinare la potenza dell’oggetto in termini di generazione delle pulsioni d’acquisto. Al crescere dei punteggi lungo entrambi i fattori, aumenta la probabilità che si generi pulsione d’acquisto. Cala inoltre l’importanza del prezzo, in quanto il prodotto assume valenze psicologiche ancor prima che funzionali. Il principio che ne deriva è il seguente:
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Effetto di contrasto
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