Professionista dello sviluppo del potenziale umano

© Articolo estratto dal libro di Daniele TrevisaniSolution selling. Il manuale della vendita consulenziale”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

L’empatia è il contrario della distrazione, dell’ascolto giudicante, del non ascolto. L’empatia è ascolto allo stato puro. L’empatia richiede attenzione e concentrazione sull’altro, per cui sia il corpo che la mente devono essere presenti, acuti e pronti a cogliere ogni parola e ogni significato che emerge. La distrazione rende l’empatia impossibile.

L’empatia è uno stato superiore, estremamente avanzato, di una relazione umana.

È l’arte di riuscire ad entrare nella mente altrui e viverne i sentimenti, le emozioni, gli stati d’animo, capirne i dubbi, le motivazioni, il dialogo interiore, le angosce, le gioie e le speranze, i sogni e le aspirazioni.

Potremmo definirlo come il sapersi mettere nei panni degli altri per poter sentire e percepire quello che essi provano.

L’empatia in sé non è né buona né cattiva, e infatti si può utilizzare l’empatia psicologica anche per capire come ragiona un ricercato, un killer, e quale sarà la sua prossima mossa (empatia strategica). Si può anche usare l’empatia per curare, come nel dialogo con uno psicoterapeuta (empatia come cura).

In generale, nei rapporti umani quotidiani e professionali, l’empatia è positiva ed è anche merce rara. Come evidenzia Jeremy Rifkin (2011):

“la coscienza empatica si fonda sulla consapevolezza che gli altri, come noi, sono esseri unici e mortali. Se empatizziamo con un altro è perché riconosciamo la sua natura fragile e finita, la sua vulnerabilità e la sua sola e unica vita; proviamo la sua solitudine esistenziale, la sua sofferenza personale e la sua lotta per esistere e svilupparsi come se fossero le nostre. Il nostro abbraccio empatico è il nostro modo di solidarizzare con l’altro e celebrare la sua vita”.

L’empatia è rara perché richiede la sottile capacità di sintonizzarsi emotivamente, e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, del vissuto del nostro interlocutore, più che i dati numerici o oggettuali che ci espone.

Utilizza inoltre la metacomunicazione (letteralmente “comunicare sulla comunicazione stessa”) ad esempio chiede senza timori il significato di un termine che non comprende, o, nelle poche occasioni in cui l’ascoltatore parlerà, lo farà per spiegare concetti che servono al processo comunicativo stesso.

L’ascolto empatico è di una rarità impressionante.

Possiamo dire di averlo incontrato l’ultima volta in cui una persona ci abbia dedicato un’ora di tempo senza raccontarci niente di lui o lei, per ascoltare solo quello che noi avevamo noi da dire, facendoci domande per capire meglio, non solo le nostre informazioni, ma le nostre emozioni. Bene, se è successo, si è trattata probabilmente di una sessione di coaching, di counseling o di terapia. Raro che succeda nella vita quotidiana. La vita quotidiana è così piena di distrazioni esterne e di “rumori interni” della mente, che l’ascolto empatico non vi trova in genere posto.

Le persone sono sempre più distratte e così facendo, non ascoltano più, né attivamente, né empaticamente. La vendita professionale richiede invece di riportare l’ascolto e l’empatia al centro della scena.

Momenti di alta intensità di ascolto si incontrano a volte nella vita, nelle amicizie vere, o tra veri compagni sul lavoro, ma non è detto che l’attenzione sia sempre tutta e solo centrata su uno dei soggetti, come invece avviene nell’empatia. E del resto, se servono corsi specifici per imparare l’empatia, è perché la scuola, la formazione accademica, i libri, sono sempre molto spostati sul dare informazioni, piuttosto che sull’insegnare ad ascoltare.

La componente più difficile dell’ascolto empatico è certamente la sospensione del giudizio. Se qualcuno dice “ho buttato via il pane” o “ho gettato il sacco della spazzatura dal finestrino”, è praticamente impossibile non giudicare negativamente. Ma la “sospensione” del giudizio significa appunto “sospenderlo”, non “farlo sparire”. Sospenderlo affinché si possa capire meglio cosa, dove, come, perché avvengono certe cose. Se non lo facessimo avremmo perso larga parte delle informazioni che invece potevano uscire.

L’ascolto simpatetico esprime simpatia e affetto verso chi parla.

Il suo fine non si limita all’ascolto ma vuole anche dimostrare affettività e piacere dell’interazione verso l’altro. È un ascolto non necessariamente migliore di quello empatico, ma solo diverso. Nell’ascolto simpatetico, la priorità è dare all’altro la sensazione di piacevolezza e vicinanza.

È essenziale far capire che ci interessa quanto sta dicendo, non solo per i dati, ma per la persona che li esprime. Ascoltare in questo caso diventa parte di un gioco relazionale che ha una componente seduttiva, quello che ci interessa non è solo una fredda analisi di dati e parole, ma vi è un forte stato di ammirazione o apprezzamento, e persino di felicità per l’essere in contatto e comunicare.

L’ascolto simpatetico dimostra calore umano, piacere della relazione, gradimento dell’altro, sia con le parole che con il sistema non verbale.

Consideriamo un fattore molto pratico. L’ascolto simpatetico è un ascolto che “avvicina”, e avvicinare relazionalmente la persona che vogliamo ingaggiare può essere un’ottima strategia psicologica per aprire poi varchi verso un ascolto più profondo.

L’ascolto simpatetico può essere facilmente giudicato come un ascolto “ruffiano”, ma chiediamoci se viviamo in una società avara di complimenti o no.

La nostra società è tanto rapida nel giudizio e accusa – quanto avara di carezze psicologiche, persino quando facciamo qualcosa di buono. Allora, un ascolto simpatetico, quando ci sta, quando c’è l’occasione, è un regalo gradito, e mai un regalo di poco conto.

Quando ascoltiamo qualcuno, e qualcosa di positivo riverbera in noi, lasciamo che sia, diciamolo, esterniamolo, non ce ne dobbiamo vergognare.

Concludiamo con una breve riflessione.

Nel corso del libro si incontrano tante tecniche, modalità, strategie, per praticare un ascolto attivo e in profondità. Per entrare nella mente e nei cuori, o per estrarre informazioni, o per lavorare assieme meglio. Ma qualsiasi sia il nostro intento e il bagaglio di tecniche, ve ne è una, che davvero non posso insegnare ma solo suggerire: la volontà di ascolto.

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